5 marzo 2007

Finisterre, L'inventore del biliardino

E' morto Alejandro Finisterre, poeta, filosofo, editore, ballerino di tip tap e fiero oppositore del regime di Francisco Franco. Tra i primi dirottatori aerei della storia dell'aviazione. Anche se il suo nome non passerà alla storia per tutto questo, ma per aver inventato il futbolìn, cioè il calciobalilla, il biliardino nella versione più moderna. Un'idea di cui parlò sempre poco perché non ne andava particolarmente fiero. Più importante l'impegno poetico e politico. Ma anche il metegol, come dicono in Argentina, bordfodbold come si scrive in danese o langirt alla turca - e a voler elencare tutti i paesi che l'hanno importato e inserito nei loro vocabolari c'è di che annoiarsi - nacque con uno scopo nobile.
Dalla creatività di un ragazzino diciassettenne che rimase ferito da una delle bombe che insaguinarono il suo paese nel corso della guerra civile spagnola. Ricoverato in ospedale, Alejandro si accorse che la maggior parte dei suoi compagni di corsia erano adolescenti come lui, ma più sfortunati perché a causa delle ferite avevano subito l'amputazione degli arti inferiori. Mai più corse nei prati, mai più calci a un pallone. Un orizzonte cupo, a cui cambiare presto tinta. Appassionato di ping pong, Finisterre pensò che se poteva giocare a una sorta di mini tennis con racchette e tavolo verde, lo stesso si poteva fare con il calcio.
(foto tratte da Repubblica)

Ed ecco che grazie a un carpentiere che lavorava nell'ospedale, piccoli giocatori di legno vennero infilati in lunghe aste orizzontali. Poi due aperture sui lati corti del piano di compensato che reggeva tutta la struttura, circondate da una piccola rete, proprio come quella del futbòl vero. L'invenzione venne prontamente registrata nel 1937 a Barcellona, anche perché qualcosa di analogo già esisteva a opera del tedesco Broto Wachter, che ne aveva realizzato una versione più semplice sei anni prima, a cui mancavano però le sagome dei calciatori. Grande successo, altrettanta la sfortuna.

Finita la guerra e insediato il regime di Franco, Finisterre scappa verso la Francia attraversando clandestinamente i Pirenei. Una pioggia torrenziale, e il prezioso plico che documenta la sua creazione diventa una pappa inutilizzabile di cellulosa. La parentesi del biliardino per lui finirà qui, con la sola eccezione di una partita giocata con Ernesto Che Guevara, almeno così riportano succintamente i biografi. Quello che viene dopo costituirà il vero nucleo della sua lunga esistenza durata 87 anni. Dopo un breve rientro in patria che gli permetterà di laurearsi in filosofia, Alejandro soggiornerà prima in Francia e poi in Ecuador, Guatemala e Messico, dove incontrerà l'uomo a cui dedicherà una devozione che finirà solo con la morte, il poeta spagnolo - altro esule a causa del regime - Leòn Felipe.

Per lui, e molti connazionali letterati fuggiti in Sud America, si improvviserà editore pubblicando le loro opere oltreoceano e in Spagna dopo la morte del "generalissimo" aiutandoli a passare alla storia. Finisterre è un uomo esperto nell'arte di arrangiarsi: uno dei dieci figli di un radiotelegrafista poi divenuto ciabattino, per mantenersi lavorò come muratore, imbianchino e anche ballerino di tip tap, riuscendo a farsi scritturare in una delle compagnie più in vista del suo paese. La capacità di sviluppare soluzioni argute nei momenti di difficoltà gli servirà anche quando verrà coinvolto nel colpo di stato del '54 in Guatemala orchestrato dalla Cia.

Corriere di documenti riservati di una delle nazioni che riconoscevano la repubblica franchista, verrà rapito da agenti spagnoli e imbarcato su un aereo diretto a Madrid. A bordo l'illuminazione: preso il sapone della toilette, lo avvolge nella carta stagnola fingendolo un'arma e costringendo il pilota a sbarcarlo a Panama.

Finisterre, che poi si chiamava Alejandro Campos Ramìrez - Fisterra era la sua città d'origine che adottò come cognome - non ha mai concesso volentieri interviste a causa di una timidezza quasi patologica e altrettanto leggendaria della sua vita avventurosa. Per gli ultimi giorni della sua lunga esistenza scelse Zamora, la città in cui era nato il poeta Leòn Felipe, approdando in ritardo tra i necrologi della stampa che danno notizia della sua morte a distanza di diverse settimane. La data sulla lapide è 8 febbraio, ma c'è chi ha scritto il 9 stampando la notizia il 16, o 8 uscendo il 13 nel caso di El Paìs o di nuovo il 9 come il Guardian che l'ha pubblicata il 24. Lui probabilmente avrebbe apprezzato la varietà delle interpretazioni.

Fonte: Articolo di Gaia Giuliani, apparso su Repubblica.

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