31 gennaio 2007

I racconti di Mauro Gasparini


(disegno di Yuri Hanayama)

Vi invitiamo a visitare il sito di Mauro Gasparini (il link è anche sotto blog in lingua italiana), a leggere i suoi racconti e ad ascoltarli.

Ciccia bomba cannoniere

momentaneamente sprovvisto di bicchiere

Grasso.
Sono ogni giorno più grasso.
Colpa dell’età? Della vita sedentaria? Del lavoro che tutto parla parla, ma niente cammina cammina? Dell’alimentazione sbagliata che prevede solo grassi? Fibre grasse, grissini grassi, costicine, salsicce, pancetta, patate fritte? Ma se friggo con l’olio di semi! Ma dai!
E poi scusa, ma che razza di problemi sono? Ho l’età che ho, faccio una vita sedentaria perché il mio lavoro è al coperto, mangio quello che mi fa sentire non solo sazio, ma anche felice. Che cosa c’è di sbagliato in tutto questo?
E conta qualcosa il fatto che non passi giorno che qualcuno, in piazza, al bar, al lavoro me lo faccia notare? Conta qualcosa che un numero esorbitante di adulti anagrafici si sia lasciato abbindolare dalla scemenza che sostiene il legame tra il fuori e il dentro? Ma quando mai! Abbiate il coraggio di ammetterlo, per voi il dentro è un impiccio, non ci parlate da anni, è un ripostiglio murato meno frequentato delle mutande di una suora!
Allora non c’è niente di sbagliato! Quasi…
Già, di sbagliato c’è che non riesco più ad accavallare le gambe mentre scrivo. Questo è un problema serio. Sì perché il grasso è nella sua essenza pancia. La pancia sospinta dall’accavallamento urta la cassa toracica e il respiro si fa affannoso. Dopo un’ora di scrittura i vicini bussano al muro e dicono che è meglio se ricomincio a russare, ché preferiscono il nervoso all’ansia…
Sorge così nell’uomo maturo un’esigenza atavica ereditata da innumerevoli accoppiamenti con i lemming: vado a correre. Correre… Sulle prime è pellegrinaggio istantaneo, cento metri dalla porta di casa alla piazza per poi buttarmi in ginocchio davanti alla statua della Madonna a pregare che passi un’ambulanza che mi riporti a casa. E a casa? A casa fame nera: kinder bueno, mars, saccottini, fiesta (anche al plurale) e un bicchiere di Coca fredda. Lo stomaco toglie sangue alle gambe che diventano fibre bianche a bagnomaria nell’acido lattico. Insonnia e rutti. E televendite di carne umana, perché se l’uomo non può coltivare le sue passioni, si butta sulla strada del peccato.
Fortunatamente, siamo fatti per abituarci. Così torno a correre.
Tre settimane dopo mi sento già abbastanza sicuro, fiducioso, energetico, coraggioso. Così smetto di correre attorno alla piazza, mollo l’ormeggio del capitello della Madonna del Polpaccio e come uno che ha finalmente trovato il fegato di staccarsi dal bordo della piscina, mi butto. La campagna è mia, pista!
Ma o ci sei nato o non funziona: invece di lasciarmi anestetizzare dalla serotonina della fatica, più lontano vado e più si riavvolge il nastro dei ricordi: brutta roba il sentimento. Ti sei appena abituato a considerare accettabile il coccio di vetro che ti si accanisce sulla milza e un cappio di filo spinato ti stritola lo stomaco finché da qualche parte del sottotetto non ti esce un ricordo tutto intero. Un ricordo che in mezzo minuto è capace di condensare milioni di ore, di sovrapporre decine di momenti diversi, di aprire cento finestre su porzioni smisurate della tua vita senza mai mandare fuori fuoco il più piccolo dettaglio. E a cosa serve la memoria? La memoria è il link alla quarta dimensione, quella che ti obbliga a fare i conti con la parte più oscura di te stesso, quella che si apre sul libro delle infinite risposte che non ammettono domande… La memoria è il più fantastico degli ipertesti.
Però capisco e tanto basta: fine della mia carriera podistica.
Cambierò posizione per non cambiare abitudini. Ho troppa fame di tutto quello che c’è per scappare o per nascondermi in uno specchio.

29 gennaio 2007

Mi piace la lasagna, e poi mi piaci tu... (Zucchero)

(Immagine da www.zucchero.it)

Zucchero Fornaciari ha un nuovo disco, Fly. Il produttore è Don Was, produttore anche dei dischi di Bob Dylan o dei Rolling Stones. Ci lavorano alcuni musicisti di prestigio come Jim Keltner e Amir Questlove Thompson (batteristi), Randy Jackson (bassista), Michael Landau, Waddy Watchel e Tim Rice (chitarristi) e Brian Auger (organo). Ci sono poi delle collaborazioni con Jovanotti e Fossati. Le critiche di questo disco sono state diverse, da quelli che dicono che questo sia un bel disco di blues a quelli che dicono che sia troppo lineare e commerciale. E', ovviamente un disco ben fatto, Zucchero è un professionista e, come abbiamo detto, ci lavorano dei bravi musicisti, ma è vero che è anche molto commerciale, e i testi non è che siano troppo elaborati (mi piace la lasagna/ e poi mi piaci tu/ un po' di marijuana/ sotto il cielo blu/ un po' di Cubalibre, mi amor...). La pagina di Zucchero vi offre la possibilità di ascoltare dei brani di tutte le canzoni. E voi cosa ne pensate?

26 gennaio 2007

Le piccole attenzioni

(Foto da http:www.dianefarrisgallery.com)

Come posso imparare a essere più felice?

“Abbracciarsi anche con sconosciuti è molto bello, divertente e inoltre ci aiuta a vivere meglio insieme agli altri. Non è difficile, ci vuole solo un po' di coraggio, io l’ho fatto”. Quello di cui Ornella, studentessa romana di 27 anni, ci scrive (e raccomanda) è l'abbraccio per strada tra sconosciuti, l'iniziativa, "Free Hugs Campain" che è stata lanciata nel 2006, ma che nel 2007 potrebbe vivere un vero boom.

La campagna è un esempio di quanto possa fare un semplice atto di gentilezza, realizzato da qualcuno con il solo obiettivo di far sentire gli altri meglio. Senza nessun altro fine che quello di regalare un "contatto". Ma a testimoniare le doti terapeutiche degli abbracci ci pensa anche la scienza: secondo uno studio dell’Università della California bastano dodici abbracci al giorno per sentirsi bene e assicurarsi la giusta dose di endorfine, gli ormoni del benessere.

Certe piccole attenzioni sarebbero in grado di innescare un circolo virtuoso non soltanto all’interno della vita di coppia o familiare, ma anche sul lavoro. Una mail spiritosa, un cioccolatino lasciato sulla scrivania di un collega possono aiutare ad alleggerire i momenti di tensione e di stress. Non tutti però si sentono a proprio agio nel fare e nel ricevere certe gentilezze: c’è chi si imbarazza al pensiero di fare una carezza e chi non riesce a manifestare i propri sentimenti. Molto spesso è la scarsa stima di se stessi che impedisce di essere espansivi con gli altri.

(Fonte: Psychologies.it, Gennaio 2007)

24 gennaio 2007

La vera storia di Marinella

(foto da www.nakataimpastato.com)


E’ stata scoperta l’identità della protagonista de “La canzone di Marinella” scritta da Fabrizio De André nel 1968. Il brano, ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto e letto dal cantautore genovese su un quotidiano, parla di una ragazza annegata in un fiume. A dare il vero nome alla ragazza scomparsa è stato Roberto Argenta, psicologo di Asti: “Si chiamava Maria Boccuzzi e amava ballare. Era una prostituta di 33 anni, aggredita a Milano, colpita con sei colpi di pistola e gettata nel fiume Olona”. (Fonte: La Stampa)

Guardate qui il video di Mina che interpreta questa canzone di Fabrizio de André. Vi invitiamo inoltre a leggere il post (in spagnolo) de Il Doctor Hache, dove potete anche leggere il testo di questa canzone.

22 gennaio 2007

I coniugi Arnolfini

(I coniugi Arnolfini, 1434, National Gallery, Londra)

Le Fiandre erano una delle aree più ricche dell’Europa di quegli anni, grazie soprattutto ad una fiorente attività industriale e commerciale, e non poteva non attirare gli interessi delle grandi banche toscane che in quel periodo si stavano espandendo in tutta Europa. Giovanni Arnolfini era un ricco mercante di Lucca, che si trasferì a vivere a Bruges, insieme alla moglie Giovanna Cenami.

Arnolfini era un uomo facoltoso, e poteva quindi permettersi un’opera così importante e costosa: il suo ritratto è divenuto una delle opere d’arte più famose di tutti i tempi. La sua fama è legata a molti particolari, ma uno dei più curiosi e popolari è sicuramente la presenza dello specchio convesso posto sulla parete di fondo, e che vediamo giusto tra i due coniugi. Attraverso questo specchio, per la prima volta un pittore propone una rappresentazione più complessa dello spazio: in una stessa immagine possiamo vedere la stanza da due punti di vista, quello del pittore e quello, opposto, dei personaggi ritratti. Si ha così, potremmo dire, una rappresentazione dello spazio a 360°. Nello specchio vediamo i due coniugi di spalle e, tra essi, si vedono altre due figure: una delle due è ovviamente il pittore che sta eseguendo il ritratto. Pittore che colloca la sua firma in forma insolita, scrivendo, proprio sopra lo specchio, «Johannes de eyck fuit hic 1434»: Jan van Eyck è stato qui.

Questo specchio è un notevole saggio di bravura e di maestria: oltre alla rappresentazione dello spazio attraverso una superficie convessa, contiene anche dieci piccoli medaglioni che raffigurano altrettante scene della passione di Cristo. Piccolissimi quadretti, che danno la misura dell’estrema meticolosità da miniaturisti di questi pittori, precisi anche nei dettagli più minuti.

Ma la grandezza di questo quadro è da cercarsi soprattutto nella qualità della luce. Lo spazio è illuminato da alcune finestre collocate sulla sinistra, che danno alla stanza una illuminazione radente. Questa luce, avendo una direzione ben precisa, illumina in maniera differenziata anche le superfici piane ed infatti, qui, per la prima volta, vediamo un pittore che tratta con il chiaroscuro anche una superficie piana, qual è quella della parete di fondo. Ma questa luce riesce anche a dare qualità e giusto senso tattile ad ogni superficie che compare nel quadro: le superfici metalliche, quelle delle stoffe, quelle del legno e così via, hanno l’aspetto reale e convincente che noi avvertiamo proprio dal diverso modo di riflettere la luce. Qui avvertiamo una capacità di osservazione, e di analisi della percezione ottica, assolutamente senza eguali nella ricerca artistica di quegli anni.

La grande attenzione alla visione consente a Jan van Eyck di costruire uno spazio prospetticamente valido, tuttavia, anche se in maniera meno accentuata, anche qui si avverte lo stesso equivoco di tanta pittura nordica di quegli anni: la stanza è vista da un punto di vista leggermente più alto rispetto a quello dal quale sono rappresentati i due coniugi.

Il significato del quadro è ancora oggetto di valutazioni, tuttavia appare certo che esso è inteso a celebrare l’unione matrimoniale dei due protagonisti. Probabilmente fu realizzato proprio per l’occasione delle nozze, e come spesso accade per opere del genere, il suo significato è un’apologia del matrimonio. La donna ha un vestito che, nella sua strana forma, indica la fertilità della donna, mentre il cagnolino ai suoi piedi è simbolo della sua fedeltà: due qualità fondamentali per una donna che aspirava ad essere una buona moglie. Dalla parte dell’uomo vediamo a terra due zoccoli di legno, nella classica foggia olandese. Essi sono in realtà simbolo di vita proba e laboriosa, necessaria a sostenere una felice unione familiare. Probabilmente anche la scelta dei colori (il rosso del letto, il verde della veste della donna) non erano casuali, ma avevano significati simbolici che però oggi abbiamo completamente dimenticato.

Rimane tuttavia la perfezione di un’opera che non lascia nulla al caso, in cui tutto è determinato con estrema precisione e che raggiunge l’effetto di un’armonia assoluta.

(testo tratto dalla pagina di Francesco Morante)
Io adoro questo quadro,e voi?